Arrestati in Francia 7 “terroristi rossi”: chi sono e perché il loro fermo è così importante?

L’Italia ha un conto ancora aperto con il proprio passato, con quello più torbido che passando per gli «anni di piombo» ha insanguinato la Penisola dai tempi delle contestazioni giovanili del ’68 allo scandalo «Mani Pulite» del 1992. Furono i giorni di Piazza Fontana, dell’eccidio di Bologna ma anche delle violenze politiche e della politica violenta, che trovarono la loro massima espressione nello stragismo nero della destra neo-fascista e nel terrorismo comunista delle Brigate Rosse. Tanti anni sono passati da allora ed oggi – che insegnare cosa furono quei mesi a chi non li ha vissuti è tanto difficile quanto lo è per loro capirlo – molti sono ancora i misteri e le domande senza risposte. La sensazione è che non sempre si sia voluto o potuto fare giustizia per le 370 vittime rimaste sull’asfalto di Roma, Bologna, Milano tra il 1968 ed il 1988. Molti erano servitori dello Stato, agenti di polizia e carabinieri la cui morte non ha ancora un colpevole. Altri furono giornalisti, politici che tanto la destra quanto la sinistra hanno voluto zittire. Poi ci sono i civili, le centinaia di civili innocenti – e non che gli altri non lo fossero – che trovarono la morte soltanto perché trovatisi al momento sbagliato nel luogo prescelto da alcuni per dare spettacolo col loro macabro teatro di morte mascherato da guerra ideologica.

Una info-grafica sulle vittime degli “anni di piombo”. Fonte: Dataroom di Milena Gabanelli, Corriere della Sera

Gli strascichi di quegli anni così difficili ci toccano ancora da vicino: non c’è grande città nella quale non ci sia una pesante lapide di pietra posta a memoria dei martiri inconsapevoli di una guerra tra italiani, che non osiamo chiamare “civile” perché di “civile”, in quella violenza indiscriminata, non c’è proprio niente. Le lapidi però servono a poco ed anzi, alle volte, provocano ancora più dolore ai famigliari delle vittime. Succede quando nessun tribunale è stato in grado di emettere una sentenza o nessuna polizia è stata capace di eseguirla, permettendo ai macellai vestiti da attivisti e politici di non passare nemmeno un giorno dietro le sbarre. Per quei padri, quelle madri e quei fratelli non soltanto ricordare è uno strazio continuo, una lacerazione ulteriore di quella ferita che non gli fu concesso di chiudere, ma anche la manifestazione dell’ipocrisia di un Paese che piange sulle tombe delle vittime e siede – allo stesso tempo – al tavolo dei carnefici.

C’è comunque da dire – non che mi entusiasmi l’idea di difendere una politica che è stata fin troppo blanda – che a mettersi tra le sbarre di un penitenziario e gli assassini, spesso, è stata anche l’ignobile opposizione di stati esteri all’estradizione di quei criminali che nelle loro terre avevano trovato rifugio. È il caso del Brasile e di Cesare Battisti, poi fortunatamente assicurato alla giustizia nel 2019, ma anche della Francia, che dagli anni ’80 è diventata il porto franco preferito dei terroristi italiani. La colpa (e non temo rimproveri adoperando questo termine in luogo del più generico causa) fu, a suo tempo, del presidente francese François Mitterrand. Sua fu l’idea di offrire protezione ed asilo agli estremisti italiani, promettendo il rimpatrio soltanto nel caso in cui ci fosse la certezza che il reo si fosse macchiato di crimini violenti, come rapimenti, omicidi o stragi. Certezza che sarebbero stati gli stessi giudici francesi a stabilire, rivoltando come un calzino le sentenze degli omologhi italiani fino a che non trovassero qualcosa che li convincesse. E, in ogni caso, anche se vi fosse stata la certa colpevolezza, per tutti i responsabili di crimini di natura politica che non avessero provocato vittime o feriti, l’estradizione non sarebbe stata concessa. Non li avrebbero estradati perché, come disse lo stesso Mitterrand:

«Non sarà tenuto conto della natura politica dell’infrazione, l’estradizione sarà concessa in linea di principio nei casi in cui siano stati commessi […] atti criminali (rapimento di ostaggi, omicidi, violenze che abbiano provocato ferite gravi o la morte, ecc.) di natura tale che il fine politico addotto sia insufficiente a giustificare il ricorso a mezzi inaccettabili».

Ciò sarebbe dovuto valere per tutti i crimini commessi contro gli Stati che non fossero la Francia, che invece si riservava il diritto di processare anche l’intenzione politica dei propri delinquenti. Quanto alle motivazioni di questa scelta senz’altro discutibile, in linea di massima il Governo d’Oltralpe giudicava “inadeguata” la giustizia italiana, troppo distante dalle linee guida europee che a Parigi – e non ne facevano mistero – credevano di seguire meglio di tutti gli altri. Si criticava, ad esempio, l’adozione di leggi speciali contro il terrorismo o la legge che permetteva ai processi svolti in contumacia, purché fosse presente l’avvocato della difesa, di essere validi anche quando il reo venisse fermato. Senza, pertanto, che se ne dovesse svolgere un secondo.

Così furono più di  300 i terroristi italiani che poterono fuggire oltre le Alpi e molti riuscirono a costruirsi una famiglia, trovare un lavoro e – in generale – crearsi una nuova vita. Questo almeno fino al 2002, quando la protezione francese venne meno per Paolo Persichetti, ex brigadista che fu estradato in Italia. Fu il primo colpo, ma non l’ultimo: nel 2004 il Consiglio di Stato francese autorizzò infatti l’estradizione del Par Cesare Battisti, giudicando priva di valore giuridico la dottrina Mitterrand. Anche se si provò più di una volta a convertirla in legge, dal febbraio del 1985 (quando “nacque”) rimase niente più che una dichiarazione resa alla stampa dal Presidente. Una promessa, è vero, ma pur se fatta dalla più alta carica dello Stato, non vincolante per l’intera Nazione.

Passano 17 anni ed arriviamo al presente, al 28 aprile 2021, quando la dottrina subisce l’affondo più grande: a seguito dei colloqui tra il Guardasigilli italiano Cartabia ed il Ministro della Giustizia francese Dupond-Moretti, dieci ex-terroristi rossi sono stati consegnati all’Italia. Almeno formalmente: a loro nome, dopo oltre trent’anni, si è infatti aperto un procedimento di estradizione che in poco meno di 3 anni potrebbe ri-portarli nelle carceri italiane. Sette sono già stati fermati, ed un giudice dovrà dire entro 48 ore se in attesa del processo dovranno rimanere in fermo o potranno godere di libertà vigilata; 3 sono ancora in fuga. A detta del presidente Emmanuel Macron, cui si deve l’iniziativa, essa non entrerebbe in alcun modo in contrasto con la dottrina Mitterrand, in quanto i nomi consegnati (che sono 10 su una lista di oltre 200 personaggi reclamati dall’Italia) sono di uomini che si sono macchiati di crimini violenti. Sono assassini e rapitori, quelli che nemmeno Mitterrand aveva detto di voler proteggere. Non tutti la pensano così: lo storico avvocato dei terroristi in trasferta, Irene Terrel, ha definito «un tradimento» la mossa francese. Soddisfazione traspare invece da parte sia dell’Italia che della Francia, con Draghi che promette giustizia alle famiglie delle vittime e Dupond-Moretti che dice di comprendere il dolore delle famiglie cui essa era stata finora preclusa. E se vi sembrano parole di commiato, come quelle che pronuncia chi finisce qualcosa, non vi sbagliate: con questi 10 nomi (anche se 3 solo sulla carta) la Francia considera chiuso il contenzioso con l’Italia. Cosa ne sarà degli altri 290 terroristi? Improbabile che se ne sappia qualcosa nel prossimo futuro.

Quanto a chi – invece – forse farà ritorno in Italia, ecco una breve panoramica. Spicca tra tutti Giorgio Pietrostefani, considerato insieme ad Alberto Sofri uno dei mandanti dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Con Sofri fondò anche il movimento “Lotta Continua” e l’omonimo giornale. Nel 2008 fu condannato a 14 anni. Ergastolo, invece, per Roberta Cappelli, responsabile della morte di un carabiniere, di due agenti di PS e del ferimento di altri due funzionari. Ergastolo anche per Narciso Manenti, coinvolto nel delitto dell’appuntato dei Carabinieri Giuseppe Guerrieri, risalente al 1979. Per una panoramica completa degli altri nomi, vi rimandiamo all’articolo dell’ANSA che potete raggiungere cliccando qui. Sempre di ANSA, un pezzo sui profili dei tre ex-terroristi attualmente in fuga.

Prima di chiudere, però, una breve disclaimer. Già oggi, e con molta probabilità anche domani, i giornali si riempiranno di titolo trionfalistici. L’Agi, ad esempio, titola con «È finita la protezione della Francia per i terroristi rossi: arrestati in sette, tre ricercati». Il momento di cantare vittoria, in ogni caso, non è questo. Come detto poco fa, nel caso l’estradizione arrivasse, lo farebbe non prima di tre anni. E non è detto che arrivi: la richiesta dovrà passare per più giudici e più tribunali, col rischio (basso ma pur sempre presente) che non venga accolta. 

Tornando alla frase di apertura, quanto accaduto oggi ci permetterà di chiudere i conti con il passato? Probabilmente no. Sono talmente tanti i misteri, talmente tante le domande senza risposta che dovrà passarne ancora tanto di tempo prima che si possano archiviare come “risolti”. Di certo aiuterà qualche famiglia a trovare pace dopo anni di tormenti. E questa è pur sempre una grande vittoria.

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Pio Guerra

Scrivo su Notiziæ dal 2020 e su Editoriale sin dalla sua fondazione. Sono appassionato di storia, motori e giornalismo. Collaboro anche con alcune testate locali.

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